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      Extravergine, una pessima annata.
      Ma non per tutti

      olive

      L’annata che olivicoltori e frantoiani hanno appena affrontato (e non ancora terminato) è una delle più difficili degli ultimi anni, paragonabile a quella tristemente famosa del 2014. È stata una campagna olearia durissima: solo chi ha lavorato davvero e da subito in campo e ha potuto attingere alle esperienze agronomiche giuste si è salvato.

      L’attesa della coratina

      Ci sono stati anche angoli fortunati, luoghi in cui è andata mediamente bene di per sé, ma sono stati pochi e soprattutto casuali. Almeno al Centro-Nord. Ora c’è l’attesa, per alcuni aspetti esoterica, della coratina: la cultivar meno colpita da mosca e altri mali e che potrebbe dare un po’ di ciccia (leggi olio) ad aziende che non ne hanno avuto. Beh, diciamo subito che per chi non ha avuto la “lungimiranza” di acquistarla sull’albero, questa oliva pugliese costa ormai ben 120 euro al quintale, il che porta a un costo-medio/chilo di circa 10 e passa euro per il prodotto finito.

      Una giornata di test e confronti

      Questo piccolo prologo è l’introduzione a una giornata di riflessioni, assaggi e confronti all’interno del frantoio Franci, a Montenero d’Orcia (Monte Amiata, Castel del Piano) che ha invitato critici, buyer, operatori ad assaggiare in modo critico 8 diverse frangiture della cultivar frantoio da 8 diverse partite tutte raccolte nell’areale intorno alla sua azienda, in un raggio di pochi chilometri.

      L’incontro ha evidenziato innanzitutto la cura e la ricerca maniacale di Giorgio Franci e del suo staff intorno all’extravergine di oliva e intorno alle diverse cultivar che coltiva e che lavora nel frantoio. Venti diverse persone, professionalmente anche in competizione tra loro, si sono sedute intorno a un tavolo e hanno espresso giudizi del tutto liberi – e spesso anche nient’affatto consolatori – sul lavoro fatto dal frantoio.

      Primo elemento: il coraggio di Giorgio Franci di esporsi alle critiche di un parterre nient’affatto scontato. Ma la cosa serviva proprio a questo: ad avere un feedback vero sul prodotto e sui suoi possibili utilizzi. Non su etichette già formate e chiuse, su blend già decisi, bensì su frangiture “grezze”, tal quali, prese direttamente dai silos dai quali usciranno poi blend ed etichette varie. Quanti produttori farebbero una cosa simile? Peraltro, sottoponendosi a una fila di domande sui metodi di lavorazione e sui “trucchi” per arrivare a determinati risultati. Di fronte agli 8 bicchierini, c’erano, oltre al sottoscritto (Stefano Polacchi, ndr): Indra Galbo, Gino Celletti, Marco Oreggia, Sonia Donati, Piero Palanti, Simona Cognoli, Liana Dvletsina, Riccardo Scarpellini e Silvan Brun, per citare critici e imprenditori che ruotano intorno al mondo dell’olio di oliva.

      Confronti incrociati

      Di fronte alla domanda se c’è più frutto o più tecnica, dietro a quegli extravergine, Giorgio Franci risponde: “Per me esiste principalmente il frutto, l’oliva. Senza un frutto sano, perfetto, non c’è tecnica che tenga”. Poi, si studiano le diverse raccolte e lavorazioni. Due campioni sono stati lavorati adifferentigirinel frangitore a coltelli: 2.800 e 3.600 giri. E lì si va ad analizzare il risultato di un prodotto preveniente dalla stessa identica partita di olive: maggiore o minore carica fenolica, maggiore o minore equilibrio. Così come si discute su moliture di olive raccolte il 25 ottobre o il 18-19 ottobre: stesso oliveto, diversi risultati. A sottolineare una particolarità della stagione: in agosto gli oliveti hanno subito uno stress idrico, anche se non irrimediabile. Poi, le piogge di settembre e ottobre hanno permesso una reidratazione che ha riportato vigore nei frutti, e poi in lavorazione ha determinato una minore carica fenolica rispetto allo scorso anno perché con l’acqua se ne sono andate anche diverse sostanze idrosolubili.

      E si sono degustati due campioni raccolti nello stesso momento e nello stesso campo, ma da olivi da una parte più scarichi e dall’altra invece più carichi di olive: nel secondo caso si è rilevata una maggiore freschezza dell’olio, probabilmente perché la maturazione dei frutti è stata più lenta… Insomma, si sono evidenziate – per dirla con Celletti – “tutte le possibili declinazioni del carciofo”, aroma tipico della cultivar e bellissimo in questo extravergini.

      La mosca olearia: tre casi esemplari

      Una cosa, però, ha aleggiato nell’aria del confronto fin da subito: l’attacco precocissimo e inaspettato della mosca olearia che ha fatto tremare fin dai primi di luglio: mai successo. E allora, chi in quel momento era in campo a verificare e a provvedere con diversi trattamenti e sostanze, è riuscito a far fronte al flagello. Chi invece appartiene alla categoria di chi, dopo la potatura, dice ai suoi olivi: ci si rivede alla raccolta, non ne è uscito sano. “Io faccio trattamenti” spiega Giorgio “ma li faccio con criterio: all’analisi sui residui, tutti i miei oli ne escono completamente puliti, ben sotto la soglia ammessa dal bio. E di questo me ne faccio un vanto, perché per me il rispetto del consumatore è fondamentale. E dosando bene le lavorazioni in campo, rispettando bene i periodi di decadenza, si ottengono ottimi risultati”.

      È la stessa ricetta che ci ha dato, e ci ha fatto toccare con mano, Marina Gioacchini, titolare delle Amantine, nel suo oliveto di Tuscania. Olive caninesi ancora verdi e sanissime intorno al 20 ottobre. Tra le sue oltre 2.000 piante di caninese, frantoio e leccino girano in continuazione l’agronomo Girolamo Poscia (che con Marina ha condiviso il liceo) e Roberto Manetti, un vero elfo degli olivi. È stato Girolamo a sventare (anzi, a prevenire) il primo attacco di tignola, alla fine di giugno, con un trattamento che ha salvato la stagione. E poi ha ripetuto ad agosto. Risultato superbo. Ma qui, ogni giorno qualcuno va a parlare con le piante. “I trattamenti non sono calendarizzati e cioè stabiliti in anticipo o fissi di anno in anno”spiega Poscia “èsoltanto attraverso un monitoraggio continuo che si procede per proteggere l’uliveto. Un trattamento può anche bastare, come due anni fa, perché siamo in una zona molto isolata senza altre piantagioni accanto”.

      Sempre nella Tuscia, ma sul fronte opposto rispetto a Tuscania, a Castiglione in Teverina, c’è l’azienda di Maurizio Doganieri e di sua moglie Madoka Miyazaki. Olio superbo. Bio (o quasi). “Quest’anno non ci credo proprio a chi dice che con la lotta biologica ha ottenuto olive sanissime”spiega lui “per avere olive sane, in questa zona, bisognava essere maghi. Io questa campagna la conosco in profondità. La mia è una coltivazione biologica, anche se non certificata. Ma in annate come questa è impossibile: e bisognava essere molto molto bravi per riuscire a fare pochissimi trattamenti e avere buoni risultati. Io ho fatto prima le esche, in aprile, poi ho dato uno spintor fly casereccio sempre in aprile e con le esche ho tenuto sotto controllo fino a luglio: quando ho visto una grossa infestazione di mosca, a fine luglio ho dovuto dare un po’ di insetticida e ho continuato a tenere sotto controllo con lo spintor fly, che è un prodotto consentito per il biologico. E prima di molire abbiamo fatto il controllo manuale delle olive, buttando quelle attaccate dalla mosca. Lo scorso anno, invece, con un paio di passaggi di spintor fly ho risolto. Quest’anno no. Non era possibile”.

      Lavorare in campo come i vignaioli in vigna

      Sono solo tre esempi. Ma possono parlare al mondo degli olivicoltori. Si tratta di tre aziende diverse, per geolocalizzazione e per dimensioni. La sostanza è sempre la stessa: lavorare in campo come i vignaioli (quelli bravi e seri) lavorano in vigna. Solo così si può pensare di avere un prodotto di alto profilo. “Oggi” sorride in casa Franci lo chef Matia Barciulli di Badia a Passignano che a Montenero d’Orcia ha giocato preparando un piatto per ognuno degli 8 oli degustati “l’uomo ha a disposizione il miglior olio che l’umanità abbia mai potuto utilizzare”. E allora, questo extravergine va fatto bene, deve raccontare una storia, un territorio: non ha senso provare a concorrere sul filo del prezzo, nella squadra degli intensivi che di qui a breve invaderanno gran parte del mondo. C’è spazio, e c’è mercato per prodotti di alta qualità che per altro danno anche più soddisfazione a chi li produce. Certo, è faticoso starci dietro. Ma in questo mondo, a parte le solite categorie di cui non voglio citare i nomi per evitare di fare il solito qualunquismo, chi è che regala qualcosa a qualcuno? e poi… che gusto c’è a vincere facile?

      A cura di Stefano Polacchi.

      Fonte: www.gamberorosso.it

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